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Prof. Rocco Damiano Direttore della Unità Operativa di Urologia, Università Magna Graecia di Catanzaro Azienda Ospedaliera Mater Domini

Il cancro prostatico è la neoplasia più frequentemente diagnosticata negli uomini, eppure gli uomini ne sanno cosi poco che vengono colti alla sprovvista quando sono costretti ad affrontare la diagnosi medica. E’ quindi necessario che la popolazione maschile sappia cosa deve fare e quando cogliere i segnali di allarme, come deve comportarsi, con chi consultarsi.

IL CANCRO ALLA PROSTATA:
CHE COS’È, QUALI SONO I REALI RISCHI DI QUESTA MALATTIA



Q: La prostata dov’è, che funzione ha?

La prostata è una piccola ghiandola che fa parte dell’apparato genitale maschile. La funzione della prostata è produrre una parte del liquido seminale che, insieme agli spermatozoi prodotti dai testicoli, è espulso con l’eiaculazione.
Nel liquido prostatico è presente una proteina, il PSA, riscontrabile anche nel sangue, che ha la funzione di fluidificare il liquido seminale contenente gli spermatozoi.
Questa ghiandola può andare incontro a un processo di trasformazione neoplastica. Il cancro prostatico è il tumore maschile più frequente e colpisce prevalentemente soggetti di età superiore a 50 anni. In Italia si stimano nel 2014 circa 43000 nuovi casi di cancro prostatico con circa 7000 morti correlate a questa neoplasia.
In Calabria su una popolazione di circa 900.000 uomini, l’incidenza di questa malattia è valutata intorno ad 87 nuovi casi per 100.000 abitanti con una mortalità correlata attesa per il 2014 di circa 400 casi. Si calcola che ogni italiano con più di 65 anni abbia circa il 3 per cento di probabilità di morire a causa della malattia.
Le cause reali sono sconosciute, tuttavia sono stati identificati alcuni fattori di rischio quali l’età e la familiarità. Il tumore alla prostata comprende forme a crescita molto lenta ed altre forme più aggressive che crescono superando i confini della ghiandola e possono diffondersi ad altre parti dell’organismo, dando origine alle metastasi

 

Q: Quando scatta l’allarme? Ci dobbiamo sempre preoccupare ?

Nella fase iniziale il cancro prostatico non dà sintomi. Spesso i pazienti si rivolgono all’urologo per disturbi urinari frequentemente correlati all’ingrossamento della ghiandola prostatica.
Il sospetto clinico deriva da un elevato valore del dosaggio ematico del PSA, da anomalie alla palpazione della prostata attraverso il retto o da familiarità e fattori di rischio positivi in presenza di elevato PSA.
E’ importante ricordare che il PSA, considerato normale per valori inferiori a 4 ng/ml, deve sempre essere valutato ed interpretato tenendo conto della singola persona. Il PSA può risultare elevato anche in assenza di tumore della prostata, di seguito a diverse situazioni quali infiammazioni, ingrossamento della ghiandola, dopo rapporti sessuali, dopo uso prolungato della bicicletta o motocicletta, oppure a seguito di visite o manovre rettali come ecografie transrettali.
Recenti risultati di studi decennali hanno ridimensionato il valore del PSA, che è sempre stato un segnalatore di patologie prostatiche ma mai indice sicuro di neoplasia. Da qui l’allarme per gli eccessi nella diagnosi ed il rischio di interventi radicali non strettamente necessari

 

Q: Come si fa diagnosi di tumore?

In caso di sospetto clinico la biopsia prostatica rimane ad oggi l’unico esame disponibile per fare diagnosi di carcinoma della prostata. La biopsia prostatica consiste nel prelievo di alcuni campioni di tessuto eseguiti sotto guida ecografica solitamente attraverso il retto e dopo aver eseguito un’ anestesia locale.
Se la biopsia è positiva, questo indica che nella prostata c’è un tumore. In questo caso può esser necessario valutarne l’estensione anche agli altri organi mediante una tomografia computerizzata (TAC) ed una scintigrafia ossea.
In relazione alle caratteristiche architetturali delle cellule del tumore ed al valore di PSA e’ possibile inquadrare il tumore in una classe di rischio bassa, intermedia o alta. Inoltre se il tumore è presente solo nella ghiandola prostatica viene definito localizzato, mentre se ha superato la capsula prostatica o invaso le vescicole seminali viene definito localmente avanzato. Se invece ha dato metastasi ai linfonodi o agli altri organi viene definito metastatico o avanzato.

 

Q: Quando si fa ricorso alla chirurgia?

Alla presenza di una diagnosi di tumore prostatico localizzato l’intervento chirurgico ha finalità curativa. In questo caso sono asportati la prostata, le vescicole seminali e i linfonodi regionali, rimuovendo cosi completamente il tumore e consentendo la guarigione del paziente.
L’Urologo può asportare la prostata con diverse tecniche chirurgiche, incidendo la parete addominale dal pube all’ombelico (“la chirurgia a cielo aperto”) oppure praticando piccoli fori in alcuni punti attraverso i quali introdurre una telecamera e strumenti per eseguire l’intervento (“la laparoscopia”) oppure utilizzando un sistema robotico per migliorare la visione e l’esecuzione dei movimenti chirurgici (“la chirurgia assistita dal robot”). In assenza di particolari complicazioni, la degenza postoperatoria in ospedale è di alcuni giorni ed il paziente viene dimesso con il catetere vescicale che andrà rimosso dopo una settimana. Nel giro di tre-quattro settimane la maggioranza dei pazienti riprende le normali funzioni fisiche quotidiane.

 

Q: cosa accade dopo l’intervento

I più importanti effetti collaterali della prostatectomia radicale sono l’incontinenza urinaria e le difficoltà nell’erezione. L’incontinenza “da sforzo”, che si verifica in seguito a bruschi movimenti che determinano aumento della pressione dell’ addome,   persiste per un periodo variabile, da poche settimane ad alcuni mesi, mentre la riduzione o l’assenza dell’erezione sono effetti più comuni dopo l’intervento e diventano più frequenti con l’ avanzare dell’età del paziente. Avendo rimosso completamente la prostata e le vescicole seminali, non viene più prodotto lo sperma, ma il paziente potrà continuare ad avere un orgasmo senza eiaculazione.
Inoltre è importante controllare il PSA dopo trenta giorni dall’intervento per verificare che il suo valore si sia azzerato, e periodicamente ogni tre-sei mesi . La prostatectomia radicale rimuove completamente la neoplasia ma la possibilità di un “ritorno” del tumore, definito tecnicamente recidiva, è determinato dall’aggressività biologica del tumore. Qualsiasi cura con intento radicale non può comunque garantire al 100% che il tumore non darà mai più segni di sé.

Q: Oltre la chirurgia, esistono altre opzioni?

Con intento curativo esistono alternative alla chirurgia, come la radioterapia, somministrata a “fasci esterni” mediante l’ acceleratore lineare oppure posizionando la sorgente radioattiva all’interno della prostata, quest’ultima definita “brachiterapia” .
Oggi e’ possibile con la radioterapia indirizzare in maniera molto accurata il fascio di radiazioni, modellandolo attorno alla prostata ed ai linfonodi pelvici. Il trattamento radiante dura circa due mesi, durante i quali i pazienti devono essere sottoposti quotidianamente a frazioni giornaliere di radioterapia.
Nella brachiterapia invece , sotto guida ecografica, si posizionano semi radioattivi all’interno della prostata e lì rimangono per sempre. In pazienti molto selezionati il tumore può essere aggredito con il calore, mediante ultrasuoni ad alta intensità focalizzati alla prostata (HIFU) oppure con il freddo, con l’impiego di sonde poste all’interno della prostata, come nella crioablazione.
Se è presente un tumore classificato come di basso rischio possono essere proposte soluzioni osservazionali , come la sorveglianza attiva, in alternativa ai trattamenti curativi. In questo caso si ritarda il trattamento definitivo, ma il paziente deve sottoporsi a controlli clinici, di laboratorio e strumentali (anche bioptici) ad intervalli regolari fino alla progressione di malattia ed a un successivo trattamento curativo. Altra soluzione osservazionale è la vigile attesa, proposta a pazienti con importanti malattie concomitanti o con ridotta aspettativa di vita. In questo caso si ritarda il trattamento palliativo alla progressione clinica della malattia, indirizzando il paziente ad un trattamento ormonale.
Il tumore della prostata cresce anche grazie all’attività del testosterone, l’ormone sessuale maschile prodotto dai testicoli. Abbassando i livelli di testosterone nel sangue è quindi possibile rallentare la crescita del tumore, riducendone le dimensioni e controllando i sintomi.
Il livello di testosterone può essere ridotto o asportando i testicoli, come nell’orchiectomia, oppure somministrando ormoni, sotto forma di compresse o iniezioni . Le principali indicazioni alla terapia ormonale sono la cronicizzazione della malattia, la prevenzione della ripresa di malattia e la riduzione del volume della prostata prima di terapia radiante.
Oggi la chemioterapia ha un suo ruolo terapeutico se la malattia è diffusa al di fuori della prostata, e quindi è metastatica, e quando la terapia ormonale non è più efficace, e cioè quando il tumore è diventato ormonoresistente . L’obiettivo della chemioterapia è ridurre l’estensione di malattia, eliminare gli eventuali sintomi presenti e migliorare la qualità di vita.

 

Q: come si fa a scegliere la cura giusta?

Per le forme di più frequente riscontro, ossia quelle a rischio basso o intermedio, sono generalmente disponibili più proposte terapeutiche di efficacia simile. All’interno di queste possibilità sta solo al paziente scegliere la strada che desidera intraprendere, dopo essersi preso tutto il tempo necessario per riflettere e per parlarne anche in famiglia, considerando che non è solo il paziente (che, in quanto sofferente di cancro … tanto paziente poi non lo è) a patire per la malattia e le sue conseguenze, ma anche chi gli sta vicino. Inoltre bisogna prestare la dovuta attenzione. Internet ed i media sono un’importante fonte di informazioni ma non bisogna fare paragoni tra la propria esperienza e quella di altre persone. Diventa fondamentale esprimere i propri dubbi e chiarirli con l’ Urologo di riferimento che conosce nel dettaglio la situazione clinica del paziente.
E poi … curiamoci a casa nostra senza intraprendere inutili viaggi della speranza.
L’erba del vicino non è sempre più verde e spesso le migliori cure sono proprio dietro l’angolo….